Bologna, 1996. Giulia è una studentessa fuori sede che si trova a condividere un appartamento in via Fondazza con altri giovani universitari come lei. Tra questi ci sono anche Ernesto e Irvin: due ragazzi dal passato oscuro, tanto simili ma anche tanto diversi l’uno dall’altro. Dove si sono conosciuti? Cos’è che li unisce così profondamente? Cos’è che li tormenta? La verità che viene a galla alla fine è sconvolgente: Irvin è un sopravvissuto alla strage di Srebrenica. Mentre Giulia impara a conoscerli un pezzo alla volta, scoprendo allo stesso tempo tutti i retroscena della Guerra in Bosnia, i tre si affiatano in un legame che sembra indissolubile, in qualcosa che va al di là dell’amicizia. Giulia è il collante, è il terzo elemento che salda l’unione, la calce che unisce i mattoni friabili. E insieme ricostruiscono un microcosmo che sembra resistere a tutto, fino a quando non viene fuori un’altra realtà terribile alla quale è impossibile fare fronte. È la debolezza umana che si riaffaccia con violenti colpi di coda. Il romanzo si snoda agilmente tra un colpo di scena e l’altro, con uno stile fresco e asciutto che l’autrice indossa come una giacca comoda. L’effetto page turning è assicurato.