Jamie Mayers sta scontando otto anni per rapina e aggressione a un poliziotto. Arriva nella Prigione di Stato di Trenton coi ferri ai polsi e alle caviglie, e con la sua gioventù fratturata dallo stesso odio che gli tiene alta la testa e fermo lo sguardo. Quando stava al minorile, e aspettava di sapere dove sarebbe stato trasferito, sperava di non finirci a Trenton, il carcere più duro del New Jersey. E adesso si ritrova a varcare proprio quei cancelli. Con tanta visibile rabbia. E tanta celata paura.
Gli viene assegnata una cella che per molti ha un valore particolare: è stata la cella che Rubin “Hurricane” Carter occupava nel 1985, l’anno in cui venne liberato, dopo ben due decenni passati in galera. Condannato a scontare tre ergastoli, ma innocente. Con la colpa del colore della pelle, però. Carter era stato un campione di boxe, prima dell’ingiusta pena. A sua difesa, nel 1976 Bob Dylan aveva composto e cantato il brano “Hurricane”.
Ma Jamie è giovane, non conosce Bob Dylan.
Ed è bianco, non conosce Rubin Carter.
Caratteristiche che, associate al fatto che il ragazzo sprizza ira, a tratti boria, non possono che infastidire il veterano Brian, un ergastolano sessantenne.
La ricorrenza della liberazione di Rubin Carter si trasformerà nell’occasione per provare a cambiare qualcosa.