Libro molto citato, ma spesso relegato nel cantuccio delle opere bozzettistiche, Il ventre di Napoli è, invece, ricco di suggestioni tutt’altro che scontate. Opera dalla lunga gestazione (1884-1904), è un grido d’amore disperato verso un luogo che non è soltanto una città, con i suoi abitanti, le sue miserie, le sue inevitabili ingiustizie, ma rappresenta un microcosmo in cui l’eterno dialogo tra la vita e la morte si impone nella sua tragica e spietata ineluttabilità. Così, insieme alla pizza, alle superstizioni, al lotto e ai mille colori del golfo partenopeo, si ritrova l’agghiacciante rappresentazione delle stanze sovraffollate in cui uomini, donne, bambini e intere arche di Noè di animali cercano di sopravvivere e, al contempo, imparano a convivere con la morte: “case in cui si cucina in uno stambugio, si mangia nella stanza da letto e si muore nella medesima stanza, dove altri dormono e mangiano”. Napoli da cartolina illustrata? No. Napoli goticamente trasfigurata? Nemmeno. Napoli e basta.