Questo racconto, che prende il titolo da una canzone sovietica degli anni Sessanta, è un’ucronia retrofuturista che racconta la conquista del pianeta rosso da parte di una Grande Russia, erede dell’URSS, unita in un’unica entità statale con l’Europa e alleata con la ComCina; forse all’origine della “divergenza” c’è la mancata vittoria di Stalin su Trockij. La trama racconta il viaggio inaugurale del colossale dirigibile Nikita Sergeevič, chiaro omaggio a Chruščëv, un’aeronave di dimensioni colossali, adatta per l’atmosfera rarefatta di Marte: tre km di lunghezza, quasi uno di circonferenza nel punto più largo, 900 milioni di litri di gas. Volerà per 1500 km tra l’Olympus Mons e l’Arsia Mons per mostrare al mondo la superiorità della tecnica sino-russa. A bordo, oltre al capitano Lehmann, all’ingegnere capo Yang Liwei e diversi ospiti, c’è una prestigiosa invitata: la famosa pianista francese Margaux Poincaré con il suo Steinway a coda. E tra i membri dell’equipaggio c’è una coppia di giovani operai, Saša e Boris, che si troveranno direttamente coinvolti in un colpo di mano ordito da terroristi provenienti dagli USA, che dopo il crollo del capitalismo nel XX secolo si sono ridotti all’ombra di se stessi. Il destino del Nikita e dei suoi passeggeri si legherà strettamente a quello degli antichi abitanti di Marte, che abbandonarono il pianeta prima ancora che la civiltà umana alzasse gli occhi al cielo, ma lasciando dietro di sé un tangibile ricordo della propria esistenza.