Immortali | 18

I decaduti

di Maksim Gor'kij

Come una delicata fogliolina verde spicca nell’arida distesa graveolente di una discarica, così in queste opere lo spessore emotivo di alcuni personaggi riesce a emergere in tutta la sua freschezza nonostante il contesto di asfittica e putrescente corruzione morale. E il lettore deve tenere salda la mascella per non restare a bocca aperta

Titolo originale: Супруги Орловы, 1897; Бывшие люди, 1897

Traduzione di E. W. Foulques

Romanzo | pagg. 177 | 22/11/2022 | Letteratura

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I decaduti (copertina)

Il libro

Due lunghi racconti, anzi quasi due romanzi, risalenti entrambi al 1897, accomunati dalla rappresentazione dell’indigenza materiale come specchio della miseria interiore. Anime depravate si aggirano in un ambiente contaminato dalla povertà, dalla sporcizia, dalla malattia e, soprattutto, dal vizio, peccato inevitabile per chi non ha altra scelta, per chi riesce a piegare le labbra in qualcosa di simile a un sorriso solo innaffiando il proprio organismo con fiumi di acquavite. La speranza non esiste e non è nemmeno contemplata, perché per gli individui tratteggiati da Gor’kij interrogarsi sul mistero della vita e sull’origine della sofferenza umana corrispondono alla stessa cosa. Un elemento, però, certamente manca a queste pagine: la superficialità. Ogni sfumatura dello spirito viene, infatti, scandagliata dalla penna ardente ed energica dello scrittore russo che non sa dimenticare (e qui si ritrova tutta la sua potenza) di essere stato, e in qualche modo di essere ancora, un vagabondo in preda al vento della disperazione.

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L’autore

Aleksej Maksimovič Peškov (Nižnij Novgorod, 28 marzo 1868 – Mosca, 18 giugno 1936), noto con lo pseudonimo Maksim Gor’kij (ovvero “l’amaro”), fece talmente tanti lavori diversi nella propria vita che elencarli tutti esaurirebbe questo spazio biografico. Dopo anni di peregrinazioni attraverso la propria nazione e impieghi saltuari, si affermò come giornalista e scrittore, entrando nel 1902 nella prestigiosa Accademia russa delle scienze, dalla quale fu però presto espulso a causa delle sue idee rivoluzionarie. Tentò il suicidio, conobbe il carcere, il confino, l’esilio, la malattia (per guarire da una forma severa di tubercolosi risiedette a Capri e poi a Sorrento) e morì in circostanze non chiare: in molti non credettero alla versione ufficiale (polmonite) e ipotizzarono un assassinio voluto da Stalin. Tra le sue numerose opere, possiamo citare i racconti lunghi Konovalov (1897) e Varen’ka Olesova (1898), il dramma Bassifondi (1902), il romanzo La madre (1906) e il ‘trittico autobiografico’ Infanzia (1913), Tra gente estranea (1915) e Le mie università (1922).

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