Lungi dal rappresentare in modo scontato il solito triangolo amoroso moglie piacente, giovane artista fascinoso e marito ordinario inevitabilmente cornuto, Zuccoli ne La freccia nel fianco (1913) imposta una storia tanto originale da apparire quasi inverosimile sulla carta. Invece, addentrandosi nelle pagine, si resta stupefatti assistendo al dipanarsi di una passione genuina e pura capace di originare conseguenze nefaste. La degenerazione delle normali pulsioni sessuali infantili innesca reazioni a catena incontrollate che, sulla lunga distanza, devastano intere esistenze. Nessuno ha colpa, anzi tutti possono sventolare la propria patente di vittima, ma il destino se ne frega e fa il suo corso inesorabilmente. Così ai protagonisti, inseriti nell’asfittica società alto borghese della Milano di inizio Novecento, non resta nemmeno la pagana consolazione di accusare gli dei capricciosi dei loro impulsi aberranti, perché Cupido e Venere questa volta non c’entrano niente (e nemmeno Dio).