Immortali | 24

La vigna vendemmiata

di Antonio Beltramini

Ecco una raccolta di racconti traboccati di violenza e passioni. Suggestivo e non scontato frutto del desolato panorama postbellico in cui la terra romagnola ribolle di desiderio d’ogni cosa ed è disposta a tutto pur di esistere.

Racconti | pagg. 132 | 18/07/2023 | Letteratura

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La vigna vendemmiata (copertina)

Il libro

Non ci si aspetti di essere deliziati da placidi bozzetti folcloristici: nelle pagine di queste novelle, infatti, trova spazio solo l’aspetto brutale e pagano del mondo agreste. Il locus amoenus lascia il passo, quindi, a variazioni sul tema campestre di sapore amaro, piccante, se non tossico. Uomini e bestie tentano ferocemente di sopravvivere, il più delle volte a scapito degli altri, ricercando tutto ciò che può regalare benessere materiale, e la natura, più che essere rappresentata come perfida matrigna o indifferente spettatrice, finisce per apparire come complice delle laide malefatte perpetrare dalle sue creature. Forse, anzi quasi sicuramente, La vigna vendemmiata (1919) non è una lettura faceta, ma è una raccolta densa di spunti interessanti: le sue inquietanti pennellate, infatti, fanno riflettere sull’atroce gorgo nel quale può precipitare l’animo umano.

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L’autore

Antonio Beltramelli (Forlì, 1874 – Roma, 1930), scrittore e giornalista, ebbe una vita avventurosa tra lunghi viaggi all’estero come inviato (dal 1907 al 1910 pubblicò per il «Corriere della Sera» corrispondenze dalla Norvegia, dalla Grecia e dal Nord Africa) ed esperienze belliche nella guerra di Libia (come cronista) e nella Grande Guerra (come militare pluridecorato). Aderì con entusiasmo al fascismo, dedicando due volumi alla figura del suo conterraneo Mussolini, Il Cavalier Mostardo (1922) e L’uomo nuovo (1923). Tra gli altri incarichi, fu condirettore de Il raduno (1927-1928), “settimanale dei sindacati fascisti degli autori e scrittori”, e accademico d’Italia dal 1929. Sposò una giapponese, Yoshiko-San, con la quale visse presso la cosiddetta “Sisa”, magione in stile romagnolo-nipponico situata tra Forlì e Ravenna. Tra le sue opere principali si possono annoverare: Anna Perenna (1904), Gli uomini rossi (1904) e Il Cantico (1906); si dedicò anche alla poesia (Canti di Faunus, 1908; Solicchio, 1913) e al teatro (Le vie del Signore, 1926).

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