I dirupi e le grotte primitive della Barbagia avvolgono la decrepita abitazione di una famiglia nobile sul baratro della miseria, la cui sorte sembra essere riposta nelle mani di una donna sbucata dal nulla anni addietro. Annesa, bionda e impenetrabile, imbratterà la propria anima di sangue pur di salvare i propri benefattori, condannandosi a una vita di penitenza e di stenti. Non diversamente dal protagonista di Elias Portolu e da Efix del celeberrimo Canne al vento, anche Annesa rientra nella logica del delitto e castigo di dostoevskiana memoria, esplicitata già dal grande Momigliano. Inoltre ne L’edera, come in Cenere, è una donna a caricarsi sulle spalle il peso della sofferenza e del sacrificio, a riprova del fatto che Deledda risulta lontana anni luce da quello stereotipo irrancidito che la vuole ancora rappresentare come un’arcigna antifemminista. Lo stile è luminoso anche nelle pagine più buie, perché un pulsante grido di vita riesce a pervadere ogni sfumatura, facendo intravedere in controluce la salute, per non dire la salvezza, di una società inconsapevolmente malata.