Fenrir non si pente di avere abbandonato gli Esuli ed essersi rimesso in strada per conto proprio, ma almeno su una cosa Barghest aveva ragione: le lande desolate sulla via per Somnica sono davvero pericolose per chiunque decida di affrontarle da solo.
È il pomeriggio del quarto giorno quando si imbatte nell’ennesima banda di passaggio. Vengono dalla direzione opposta alla sua e sono almeno una dozzina. Procedono affiancati occupando l’intero diametro della strada maestra. Hanno i cavalli, ma li tengono per le briglie e avanzano a piedi. In tre portano al guinzaglio cani grandi come pony, e anche dalla lunga distanza Fenrir riesce a scorgerne i denti scintillanti, affastellati nelle bocche come piccole armerie ambulanti.
Si abbassa nel verde, lasciandosi ingurgitare dalla vegetazione folta. Non percepisce alcun rumore, eccetto quello del sangue che gli urla nelle tempie, ma questo non significa niente: possono essere comunque molto vicini, le voci sparpagliate dal vento.
Aspetta diversi minuti prima di provare a tirar su la testa, e quando finalmente si risolve a dare un’occhiata sente un grido echeggiare nel silenzio e torna giù di scatto, appiattendosi di nuovo al suolo.
I cani si avventano su di lui con le fauci sguainate, saltando fuori dall’erba come enormi pesci dalla superficie placida di uno stagno…