Ci sono volute due giornate intere per sedare gli incendi, disfarsi dei corpi e lavare via tutto il sangue, ma ora l’acciaio ha ripreso a brillare e il subdolo tanfo di decomposizione che sembrava aver piantato radici in esso è stato strappato via come una sgradita pianta infestante.
Le strade della nave-città si sono rianimate delle loro consuete attività quotidiane, come se dopo aver ripreso fiato per qualche giorno gli abitanti fossero pronti a correre più di prima in questa maratona infinita che è l’esistenza a bordo della Zephira.
Augustus dorme, imbozzolato nella sua coperta come in una seconda pelle. Pare tranquillo, ma Fenrir sa che il dolore non gli ha dato tregua per tutta la notte. Probabile che sia semplicemente crollato per la stanchezza, e che di qui a poco qualche fitta improvvisa lo svegli un’altra volta in un sussulto.
Vederlo ridotto in questo stato è tremendo. Augustus non è uomo da lasciarsi abbattere tanto facilmente, neppure quando l’inverno o l’esaurimento fisico gli fanno salire la febbre. Anche in questi casi lui continua a lavorare come se niente fosse, preciso e inarrestabile, ben consapevole dell’importanza del proprio ruolo all’interno della comunità. Ma stavolta è diverso. Questa volta la malattia è molto più aggressiva ed è riuscita a spezzarlo…